8 Marzo 2021

L’Editoriale #2

Due parole con...

Quale è la relazione fra l’università e aziende?

Prof.M.M.Il dipartimento di Ingegneria Industriale dell’Università degli Studi di Padova, lavora da molti anni con le aziende, siamo rivolti alla ricerca applicata. Trovare sinergie fra università e aziende è estremamente importante, soprattutto nella condivisione delle abilità e delle tecnicità di ciascuno: l’Università mette a disposizione le proprie competenze per assolvere le esigenze delle aziende che ci incaricano di studiare e risolvere delle tematiche specifiche, ovviamente il tema delle materie plastiche è centrale per il gruppo di ricerca di cui sono responsabile “Ingegneria dei Polimeri”. 
Una volta al centro di tutto era il prodotto, e l’esempio più importante è la conservazione del cibo che viene protetto con imballaggi costituiti da molteplici strati di materiali diversi. Questa metodologia non è più praticabile, adesso oltre al prodotto bisogna considerare anche il fine vita di ogni singolo componente, il quale deve essere riciclato in accordo con le nuove normative di legge. Ossia il produttore dovrà progettare l’imballaggio in modo tale che alla fine del ciclo di vita (peraltro molto breve per gli imballaggi) il materiale sia disassemblabile e soprattutto riciclabile.

Poiché il mondo del packaging sta cambiando molto velocemente, proprio per i motivi appena detti, dalla collaborazione con diverse aziende si evince una certa difficoltà a seguire questi cambiamenti soprattutto dal punto di vista delle conoscenze relative ai materiali: molti operatori non hanno una preparazione adeguata per seguire questi cambiamenti. Da qui nascono le collaborazioni con il nostro dipartimento di Ingegneria Industriale, nella volontà di guidare le aziende nello sviluppo di materiali e processi più idonei e nell’identificazione di soluzioni elaborate per adempiere alle nuove richieste. 
Con la LAPRIMA PLASTICS il rapporto di collaborazione è iniziato circa 4 anni fa, peraltro l’Ing. Filippo Dall’Amico è stato un nostro studente. Il primo progetto in collaborazione è partito con il finanziamento di un Dottorato di Ricerca in Ingegneria Chimica e Ambientale, che ha avuto come tematica principiale il riciclo fisico-meccanico e chimico di plastiche ingegneristiche, da lì sono poi partiti altri progetti regionali andati tutti a buon fine, riscuotendo ottimi risultati anche in termini di trasferimento tecnologico.

«Il mondo sta andando verso la circolarità, la nuova filosofia porta a recuperare i manufatti usati, per essere riciclati e riutilizzare i materiali».

Quali sono i benefici che l’Università riceve collaborando con le aziende?

Prof.M.M.: Grazie a queste collaborazioni con le aziende, riusciamo a finanziare borse di studio, assegni di ricerca e anche dottorati di ricerca per giovani laureati, inoltre molto spesso riusciamo a acquistare materiali e strumenti per i nostri laboratori di ricerca.  Peraltro questo, assieme a didattica e ricerca, è uno degli obiettivi dell’Università ovvero quello che va sotto il nome di terza missione: l’insieme delle attività con le quali gli atenei interagiscono direttamente con la società e il proprio territorio di riferimento, sia attraverso azioni di valorizzazione economica della conoscenza che più in generale attraverso attività e eventi di ordine culturale. E’ uno scambio reciproco. Personalmente imparo moltissimo da queste collaborazioni: lavorare con le aziende mi permette di portare del know how ma anche di ampliare le mie conoscenze, soprattutto pratiche, riuscendo poi a trasferire l’esperienza ai miei studenti. Ovviamente tutto questo comporta molto impegno e dedizione. Il beneficio è comune, ci si auto alimenta, comunità e territorio sono direttamente coinvolti. 

Su questa logica sono stati avviati diversi progetti di ricerca e sviluppo finanziati dalla Regione Veneto, ed è nata anche UniSMART – Fondazione Università degli studi di Padova che tende a favorire questi scambi, mettendo insieme docenti, studenti e ricercatori con il mondo imprenditoriale e stakeholders pubblici e privati. Proprio per preparare delle figure specializzate in questo settore, anche dal punto di vista legislativo, il nostro ateneo ha risposto a questa particolare esigenza, attivando a partire dall’anno prossimo una laurea magistrale in lingua inglese, sul tema dell’economia circolare applicata a tutti i materiali: Sustainable Science and Technology for Circular Economy

Per affrontare in modo serio e adeguato questa questione è necessaria la cooperazione di tutti, dall’inizio alla fine dell’intera filieraÈ tutta la filiera che deve cooperare, dai produttori di materie prime ai riciclatori finali. Bisogna però dire che un ruolo fondamentale lo giocano i produttori di materie prime con lo sviluppo di nuovi materiali e i progettisti che devono pensare a come saranno riciclati i manufatti alla fine del loro ciclo di vita. Il concetto di “design for recycling” deve entrare nella pratica abituale dei progettisti, come uno degli obiettivi chiave.

«In questo momento c’è molta attenzione verso il panorama del riciclo, c’è una specifica normativa che impone alle aziende l’adozione di standard legislativi».

Parliamo di economia circolare…

Prof.M.M.: L’economia circolare è uno statement europeo ormai assodato, nei prossimi venti/trent’anni si andrà solo verso questa direzione, non si tornerà più a un’economia lineare. Il concetto è: chi pensa a nuovo manufatto deve già prevedere come riciclarlo, si chiama “design for recycling”. Proprio per questo molte compagnie stanno lavorando su manufatti monomateriale più facili da riciclare, rispetto agli attuali materiali multi strato di difficile se non impossibile riciclabilità. Altro aspetto importante è che sarà obbligatorio introdurre sempre più materiale rigenerato nelle nuove produzioni, non è semplice, ma si sta lavorando in questa direzione.

Un altro esempio di come il nostro dipartimento di Ingegneria Industriale studia nuovi materiali più ecosostenibili, riguarda  la sostituzione di alcuni additivi pericolosi, ad esempio gli antifiamma in alcuni materiali come il polistirene che ha per anni ha utilizzato il deca BDE (decabromodifeniletere)  che è entrato nella Candiate List delle sostanze estremamente preoccupanti (SVHC) dall’ECHA, oppure gli ftalati contenuti nel PVC (polivinilcloruro) plastificato che deriva dalla demolizione e  quindi smaltimento di manufatti vecchi di decine di anni. In questi casi non è applicabile un’economia circolare, non si può reintrodurre sul mercato un materiale che è di fatto proibito. Per risolvere la problematica sono stati condotti dei progetti al fine di modificare o togliere queste sostanze proibite (additivi), in modo da poter rimettere nel mercato questi prodotti di riciclo. 

Plastica uguale a sostenibilità?

Prof.M.M.: La plastica sarebbe in termini produttivi uno dei materiali più ecosostenibili, purtroppo però ancora oggi solo una piccolissima parte viene riciclata, secondo le ultime stime di PLASTICS EUROPE, a livello europeo circa il 32,5% viene riciclato, il 42,6% viene impiegato per la termovalorizzazione (recupero di energia) e circa il 25% depositato nelle discariche. Nel nord Europa, dove le discariche sono state abolite da anni, si utilizzano soprattutto i termovalorizzatori, recuperando così solo una parte dell’energia spesa per produrre le plastiche, tuttavia non è la risposta migliore, anzi credo sia la forma meno pregiata di recupero. In Italia, ancora una grossa fetta di rifiuti plastici finiscono in discarica, più del 30% come media nazionale, anche se ci sono grosse differenze tra regione e regione. 
Un altro aspetto da considerare è che per quanto si possa riciclare, il problema si pone al passaggio successivo: deve esserci un’equivalente richiesta di mercato di materiale rigenerato. Il prodotto per essere collocato sul mercato deve avere caratteristiche fisico-meccaniche sufficienti e un costo adeguato. Comunque per quanto si ricicli una fetta sarà tuttavia destinata allo smaltimento. 

«La totale transizione verso un’economia circolare è un processo decisamente lento e complesso, richiede sforzi e risorse da parte di tutti gli attori della filiera. La plastica è uno dei tanti materiali da considerare, oltre a tutti gli altri».

Riciclo materie plastiche: meccanico o chimico?

Prof.M.M: Sta diventando sempre più evidente che il riciclo fisico-meccanico ha dei limiti in quanto non permette di riciclare tutti i materiali e non sempre risulta economico. Proprio per questo recentemente sono nati diversi progetti da parte di importanti multinazionali che si concentrano più sul riciclo di demolizione chimica piuttosto che meccanico. Ci sono alcuni polimeri tipo il PS (polistirene) e il PMMA (polimetilmetacrilato meglio noto come plexiglas) che grazie al loro particolare meccanismo di degradazione tendono a depolimerizzare formando rese elevate di monomero. Questo, dopo separazione e purificazione può essere nuovamente polimerizzato per ottenere nuovi manufatti come da monomeri vergini.  Sono due polimeri che ben si prestano al riciclo chimico. Anche la pirolisi – processo di decomposizione termochimica dei materiali, ottenuto mediante l’applicazione di calore e in completa assenza di ossigeno – sta tornando in auge, per produrre frazioni idrocarburiche liquide e gassose.

Anche la gasificazione condotta in atmosfera controllata di ossigeno per produrre i cosiddetti gas di sintesi sembra essere molto interessante. I gas di sintesi (miscela di CO e Idrogeno) sono la base per la preparazione di molto importanti prodotti chimici.  In passato sono stati molto studiati questi tipi di processi, tuttavia il problema principalmente era nell’alto costo della separazione e purificazione dei prodotti che richiedevano infatti ingenti risorse economiche in quanto si parla di grossi impianti che lavorano in continuo e che hanno sempre bisogno di grossi flussi di rifiuti da trattare.
Quest’ultimo problema potrebbe essere risolto visto che l’Europa, e non solo, inviava molto dei propri rifiuti prima in Cina e poi in altri paesi tipo Tailandia, Malesia etc.
Oggi che ciò non è più possibile (Cina) o comunque più difficile, la quantità di rifiuti da smaltire è molto superiore e quindi anche il riciclo chimico potrebbe diventare necessario e comunque un’alternativa valida.